Nessuna scusa per il peccato
Tempo fa lessi la storia del figlio ventunenne di un ambasciatore europeo negli Stati Uniti. Era continuamente nei guai con la legge. In un’occasione investì e uccise una donna con la sua auto e fu accusato di omicidio stradale; ma quando rivelò chi fosse suo padre, le accuse furono ritirate. Fu arrestato quattro volte nell’arco di due anni, ma ogni volta invocò l’immunità diplomatica; e poiché suo padre era un ambasciatore, la fece franca ogni volta.
È questo il tipo di questione che l’apostolo Paolo sta affrontando mentre scrive il capitolo 3 di Romani. I capi religiosi ebrei stavano rivendicando una sorta di immunità diplomatica dalle accuse di peccato; semplicemente perché erano figli di Abramo, presumevano di essere immuni dal giudizio di Dio.
Ma Paolo annuncia una verità scioccante: non importava chi fosse il loro padre. Nessuno è esente dal giudizio di Dio al di fuori di Cristo. Gli ebrei religiosi erano colpevoli quanto i peccatori gentili.
Ora, mentre Paolo continua a spiegare questo concetto, rivolgendosi principalmente ai suoi lettori ebrei, anticipa tre ulteriori obiezioni al vangelo, che formula sotto forma di domande.
La prima domanda si trova in Romani 3:3: “Che vuol dire infatti se alcuni sono stati infedeli? La loro infedeltà annullerà forse la fedeltà di Dio?” In altre parole, se Dio giudica il popolo ebraico, allora non sta mantenendo le Sue promesse verso di loro.
Questa è una domanda importante. Dio ha forse annullato le Sue promesse di alleanza a Israele perché il popolo è stato infedele? Ha ritirato la promessa di restaurare il trono di Davide e la terra di Israele al popolo ebraico e di stabilire il Suo regno sulla terra, come aveva promesso tramite i profeti? Voglio dire, se i peccatori ebrei possono essere mandati all’inferno insieme ai gentili, sembra che Dio abbia gettato via le Sue promesse.
Ebbene, non è affatto così. L’infedeltà del popolo ebraico non ha annullato la promessa di Dio alla nazione d’Israele. Ci sarà un giorno futuro in cui Israele crederà in Gesù Cristo. Zaccaria trasmette l’immutabile promessa di Dio nella sua profezia, dove Dio dice:
“Spanderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di supplica; essi guarderanno a me, a colui che hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico.” (Zaccaria 12:10)
Come si capisce dal contesto, il loro pianto sarà per i propri peccati. Si pentiranno e crederanno in Gesù. Questo non è ancora avvenuto. E, cari amici, questa promessa non si riferisce alla chiesa, ma alla casa di Davide—alla nazione d’Israele. La chiesa non ha sostituito Israele. Ci sarà un regno millenario in cui Israele sarà pienamente restaurata nella terra promessa.
Ora permettetemi di fermarmi un momento per chiarire la differenza tra la salvezza nazionale futura di Israele e la salvezza personale degli ebrei durante questa era della chiesa. In un tempo futuro, la Bibbia ci dice che Dio restaurerà la terra d’Israele, il trono di Davide e un regno letterale. Ma nel frattempo, la salvezza personale per ogni ebreo oggi non è diversa da quella per ogni gentile: è sempre per mezzo della fede in Gesù Cristo, colui che fu trafitto sulla croce.
Dio ha temporaneamente messo da parte la restaurazione d’Israele e il compimento letterale della Sua alleanza con Davide—avrete notato che non c’è alcun trono a Gerusalemme con il Messia seduto sopra—questo è stato rinviato. Ma i piani e le promesse di Dio per Israele non sono stati abbandonati.
Quindi, Dio romperà forse la Sua parola di restaurare la nazione? Paolo risponde in Romani 3:4: “Impossibile!” Potremmo tradurlo con: “Assolutamente no! È impossibile!” Alcune versioni bibliche traducono: “Dio non voglia.” Paolo sta dicendo con forza: “Questo non accadrà mai, mai!”
Paolo continua nel versetto 4:
“Sia Dio riconosciuto veritiero e ogni uomo bugiardo, com’è scritto: affinché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole e trionfi quando sei giudicato.”
In altre parole, Dio non può mentire. Egli manterrà la Sua parola.
Paolo solleva poi un’altra obiezione da parte degli ebrei, ancora una volta sotto forma di domanda—versetto 5:
“Ma se la nostra ingiustizia mette in risalto la giustizia di Dio, che diremo? Che Dio è ingiusto quando dà corso alla sua ira? (Parlo alla maniera degli uomini.)”
L’argomento qui è che se la disobbedienza ebraica mette in risalto la fedeltà di Dio—e questo è un bene—perché Dio dovrebbe giudicarli per la loro disobbedienza?
Paolo risponde al versetto 6: “Impossibile! Altrimenti, come potrà Dio giudicare il mondo?” Paolo sta dicendo: “Ascoltate, se i peccatori ebrei rivelano la giustizia di Dio, e Dio concede loro l’immunità—permettendo loro di evitare il giudizio—Dio dovrebbe allora lasciar andare anche tutti gli altri peccatori!” E ciò non può accadere, perché Dio non è un giudice parziale o ingiusto.
Paolo solleva ora il terzo argomento con la domanda che pone nel versetto 7:
“Ma se per la mia menzogna la verità di Dio risalta di più alla sua gloria, perché sono ancora giudicato come peccatore? E perché non dire, come alcuni ci calunniano affermando che diciamo: ‘Facciamo il male affinché ne venga il bene’?”
Ecco l’argomento: se peccare rende più evidente la gloria di Dio, allora perché non peccare il più possibile? In fin dei conti, se peccare dà a Dio l’opportunità di rivelare la Sua grazia nel perdonarci, allora diamogli tutte le opportunità possibili!
Sarebbe come tornare a casa dal lavoro oggi e, quando tua moglie ti chiede com’è andata la giornata, rispondere: “Beh, è iniziata male perché ho perso la pazienza e ho ucciso il mio capo. Ma tornando a casa, ho chiesto perdono a Dio; e oh, il sollievo che ho provato sapendo che Dio mi ha perdonato ha reso tutto questo degno di essere vissuto.”
Ecco un altro esempio di questo tipo di logica distorta: ti esponi intenzionalmente all’influenza per poter provare mal di testa e febbre. Perché? Perché ti piace il sollievo che senti dopo aver preso la medicina.
Paolo sta chiaramente dicendo che, se stai peccando intenzionalmente perché ti piace il senso di sollievo dato dal perdono, stai distorcendo la grazia di Dio trasformandola in un permesso di peccare. E alla fine del versetto 8, Paolo dichiara semplicemente di coloro che ragionano e agiscono in questo modo: “La loro condanna è giusta.” Chi pecca deliberatamente, pensando di offrire a Dio un’occasione per mostrare la Sua grazia, sta andando incontro a un terribile risveglio nel giorno del giudizio.
Gli argomenti che Paolo affronta qui dimostrano che possiamo essere molto creativi nel giustificare il nostro peccato, invece di ammettere la nostra colpa. Assicuriamoci oggi di non fare lo stesso. Non prendiamo il peccato alla leggera.
Non cediamo a qualche tentazione per poi liquidarla con una preghiera sbrigativa. O, come mi disse un uomo che stava per lasciare sua moglie per un’altra donna: “So che sto per peccare, ma Dio mi perdonerà più tardi.” Questo è un modo pericoloso di vivere, amico mio. E sicuramente disonora il vangelo e il nome del Signore.
In quanto persone che hanno sperimentato la grazia di Dio nella nostra vita, come dovremmo vivere? L’apostolo Pietro lo esprime così in 1 Pietro 2:9:
“Voi siete . . . un popolo che Dio si è acquistato perché proclami le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa.”
Pietro non ha detto: “Siete il popolo di Dio, quindi ora potete peccare come volete.” No, ha detto: “Dimostrate che Dio vi ha chiamati fuori dalle tenebre per entrare nella meravigliosa luce della redenzione.” Facciamolo oggi, mentre viviamo per Lui.
Conclusione:
Non è mai giusto fare ciò che è sbagliato. Questa semplice verità biblica mette a tacere ogni giustificazione e scusa per il peccato. Nessuno è esente dagli standard di Dio né dal Suo giudizio. Le scuse non ci porteranno in cielo; solo la grazia di Dio può farlo.
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