Il vulcano dell’ira di Dio

by Stephen Davey Scripture Reference: Romans 2:5–8

Poco dopo la morte di Paolo, il vulcano chiamato Vesuvio esplose come una bomba atomica, seppellendo la città italiana di Pompei. La popolazione fu uccisa dai gas velenosi e dalle ceneri, poi conservata dalla lava incandescente. Gli scavi moderni hanno rivelato una città romana perfettamente conservata, congelata nel tempo. Un autore scrisse che Pompei fu sorpresa nell’atto di essere sé stessa.

Pompei si trovava a circa 240 chilometri a sud-est di Roma, e non posso fare a meno di chiedermi se qualcuno laggiù avesse letto una copia della lettera di Paolo ai Romani. Una lettera che proclama il vangelo, ma che avverte anche del giudizio di Dio. Francamente, non c’è alcuna prova che Pompei sia stata minimamente toccata dal messaggio di Paolo.

Più di 20.000 persone vivevano a Pompei, e adoravano due divinità—Venere, dea dell’amore, e Mercurio, dio del commercio. In altre parole, adoravano il piacere sessuale e il denaro. Quando la città fu scavata, le sue mura erano piene di pubblicità di prostitute e disegni pornografici. Furono trovate statue così oscene che per secoli i musei si rifiutarono di esporle.

Su un muro qualcuno aveva scritto tre parole: Sodoma e Gomorra. E proprio come Sodoma e Gomorra, Pompei perì, sepolta sotto la lava del Vesuvio.

Abbiamo già visto in Romani 2:4 che Dio sta trattenendo l’eruzione totale della Sua ira. Nel frattempo, la Sua bontà spinge le persone al ravvedimento.

Ricorda che in questo secondo capitolo Paolo si sta rivolgendo a persone morali, religiose, piene di sé. Non pensano di aver bisogno di salvezza—non sono “così cattivi”—non hanno paura del giudizio di Dio.

Ma Paolo dice loro la verità nel versetto 5:

“Tu, invece, con la tua ostinazione e il tuo cuore impenitente, ti accumuli un tesoro d’ira per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio.”

Paolo rivela la vera condizione di queste persone presuntuose. Le descrive come aventi un cuore ostinato. Il termine greco usato qui è sklērotēs, da cui deriva il nostro termine medico “sclerosi.” Forse hai sentito parlare di arteriosclerosi: l’indurimento delle arterie—una condizione che può essere fatale.

Ebbene, Paolo dice che l’uomo morale ha una condizione ancora più pericolosa: l’indurimento del cuore. E se non viene curato, sarà fatale per l’eternità.

L’apostolo aggiunge che l’incredulo morale ha un cuore impenitente. Cioè, rifiuta di ravvedersi. Non cambia idea su Dio, né sul peccato. Nessun cambiamento del cuore, nessuna trasformazione della volontà. In parole povere: nessun ravvedimento.

All’esterno, questa persona sembra a posto. Non è coinvolta nei peccati scandalosi del capitolo 1. Va in chiesa; insegna ai bambini svantaggiati dopo scuola; serve pasti ai senzatetto.

Tutto sembra in ordine, ma Paolo gli mostra che, sotto la radiografia della santità di Dio, ha un cuore indurito. In realtà, ha bisogno di un trapianto di cuore—e solo il Medico divino può eseguire quell’intervento spirituale. E per coloro che rifiutano di ammettere di avere bisogno di questa salvezza, Paolo scrive: “Ti accumuli un tesoro d’ira per il giorno dell’ira.” “Accumulare” qui significa ammassare, poco alla volta.

Paolo sta dicendo: “Signor (o Signora) Persona Morale e Rispettabile, pensi di cavartela bene. Pensi di accumulare buone opere che un giorno supereranno le cattive. Ma in realtà stai solo accumulando l’ira di Dio, sempre più, che un giorno ti sarà riversata addosso a causa del tuo cuore ostinato e impenitente.”

Più perseveri nel peccato, più diventi abile a giustificarlo invece che a confessarlo. E più invecchi, più diventi rigido e resistente al cambiamento.

Paolo ci avverte che verrà un momento di resa dei conti: “Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere” (v. 6). Ma attenzione: Paolo qui non sta parlando del fondamento della salvezza, bensì del criterio del giudizio. Il fondamento della salvezza è la fede in Cristo soltanto. Il criterio del giudizio sarà l’opera di ciascuno.

Il credente comparirà davanti al tribunale di Cristo (2 Corinzi 5:10), dove le sue opere saranno valutate, non per decidere se entrerà in cielo, ma per determinarne la ricompensa. L’incredulo sarà invece condotto davanti al grande trono bianco(Apocalisse 20:11-15), non per scoprire se andrà all’inferno, ma per comprendere perché ci andrà.

Ora lascia che ti dica questo: la salvezza viene solo per fede in Cristo. Ma la vera fede produce buone opere. Paolo scrive in Efesini 2:10:

“Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le buone opere che Dio ha precedentemente preparate perché le pratichiamo.”

La vera fede genera il desiderio di piacere al Padre celeste. Sei Suo figlio, e desideri renderGli onore. E carissimi, se qualcuno afferma di essere cristiano ma non ha alcun desiderio di piacere al Signore, si sta solo ingannando.

Ecco, allora, il risultato del giudizio di Dio: “A quelli che con la perseveranza nel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità, egli darà la vita eterna” (v. 7).

Invece, leggiamo al versetto 8: “Ma per quelli che sono egoisti, ribelli alla verità e obbedienti all’ingiustizia, ci sarà ira e indignazione.” Per l’incredulo, questo è un avvertimento terrificante. Il Vesuvio sta ribollendo. Ogni giorno che vivi, ogni ora in cui rifiuti di ravvederti, non fa altro che intensificare l’eruzione imminente del giudizio divino.

Ho letto recentemente la storia di un uomo anziano, conosciuto da tutti come “il vecchio Ed.” Ogni venerdì sera, mentre il sole tramontava, Ed camminava su un molo della Florida con un secchio di gamberi. Poco dopo, il cielo si riempiva di gabbiani strillanti. Ed lanciava i gamberi in aria, e le persone notavano che, sottovoce, diceva qualcosa agli uccelli.

Il suo nome completo era Eddie Rickenbacker. Aveva pilotato un B-17 durante la Seconda Guerra Mondiale. In una missione, l’aereo precipitò nell’Oceano Pacifico. Miracolosamente, lui e il suo equipaggio riuscirono a salire su una zattera di salvataggio. Per giorni lottarono contro il sole e gli squali. Alla fine le razioni finirono, e si trovarono in condizioni disperate.

Un giorno, ormai vicini alla morte per fame, Ed era steso quasi incosciente con il cappello sugli occhi, quando qualcosa gli si posò sulla testa. Era un gabbiano. Quell’uccello significava cibo—se fosse riuscito a prenderlo. Lentamente allungò la mano e lo catturò. Gli uomini se ne nutrirono; poi usarono gli avanzi come esca per pescare e sopravvivere fino al salvataggio. Ed non dimenticò mai quel gabbiano.

Così, ogni venerdì sera, per anni, fino alla sua morte, tornava su quel molo con un secchio di gamberi. Lanciandoli in aria ai gabbiani, ripeteva sottovoce: “Grazie… grazie… grazie.”

Se siamo stati salvati da Gesù Cristo—liberati dall’eruzione futura dell’ira eterna di Dio—come potremmo fare qualcosa di meno, oggi, che usare la nostra vita, la nostra voce, e le nostre azioni per onorare il nostro Redentore e direGli: “Grazie… grazie… grazie”?

Conclusione:
L’ira di Dio è una realtà inevitabile per chi continua a rigettare il Signore. Non può essere ignorata, ma può essere evitata—per grazia—attraverso la salvezza in Gesù Cristo.

 

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